LA CORTE DEI CONTI 
           Sezione Giurisdizionale per la Regione Liguria 
 
    composta dai Magistrati: 
        dott. Maria Riolo, Presidente; 
        dott. Paolo Cominelli, consigliere; 
        dott. Pietro Maltese, consigliere relatore; 
    ha  pronunciato   la   seguente   ordinanza   nel   giudizio   di
responsabilita' iscritto al n.  19708  del  registro  di  Segreteria,
promosso dalla Procura Regionale presso questa Sezione contro: 
        - B L , rappresentato e difeso dagli  avv.ti  Alba  Giordano,
Gaia Baldassarri e Mario Baldassarri, in forza  di  mandato  allegato
alla memoria di costituzione, elettivamente domiciliato nello  studio
degli stessi in Roma, Via Muzio Clementi n. 58; 
        - C A , rappresentato e difeso dagli  avv.ti  Alba  Giordano,
Gaia Baldassarri e Mario Baldassarri, in forza  di  mandato  allegato
alla memoria di costituzione, elettivamente domiciliato nello  studio
degli stessi in Roma, Via Muzio Clementi n. 58; 
        - N M , rappresentato e difeso dall'avv. Pasquale Di  Rienzo,
in  forza  di  mandato  a  margine  della  memoria  di  costituzione,
elettivamente domiciliato nello studio di quest'ultimo in Roma, Viale
G. Mazzini n. 11; 
        - V S , rappresentato e difeso dall'avv. Gianluca Bambara, in
forza di mandato allegato alla memoria di costituzione, elettivamente
domiciliato nello studio di quest'ultimo in Roma, Via Muzio  Clementi
n. 58; 
    Esaminati gli atti e i documenti di causa; 
    Udita la relazione svolta nella pubblica  udienza  del  21  marzo
2018 dal consigliere Pietro Maltese; 
    Udito il Pubblico  Ministero  in  persona  del  vice  procuratore
generale dott. Gabriele Vinciguerra che ha concluso in via principale
per il condanna dei convenuti al risarcimento del danno  patrimoniale
e del danno all'immagine e in via sussidiaria per la rimessione degli
atti ails Corte costituzionale, come  da  atto  di  citazione  e  gli
avv.ti Alba Giordano, Gaia Baldassarri  e  Mario  Baldassarri  per  i
convenuti B e C , e  Gianluca  Bambara  per  il  convenuto  V  ,  che
concludono per l'inammissibilita' o improcedibilita'  dell'azione  di
risarcimento del danno all'immagine avviata dal pubblico ministero  e
per il rigetto della domanda di risarcimento del danno patrimoniale; 
 
                               Rileva 
 
    1. La Corte d'appello di Genova  con  sentenza  n.  2175  del  13
luglio 2010, in totale riforma della sentenza di primo grado riteneva
colpevoli del reato continuato di falsita'  ideologica  commessa  dal
pubblico ufficiale in atti pubblici convenuti C , A , N e V  ,  tutti
appartenenti alla Polizia di Stato, e li condannava alla pena di anni
quattro di reclusione ciascuno, oltre all'interdizione  dai  pubblici
uffici per anni cinque, al risarcimento dei  danni  in  favore  delle
parti civili da liquidarsi in separato giudizio, al versamento di una
provvisionale  di  €  15.000,00  per  ciascuna  parte  civile,  e  al
pagamento delle  spese  processuali.  Gli  altri  reati  di  cui  gli
imputati erano accusati  (calunnia  ed  abuso  di  ufficio)  venivano
dichiarati estinti per prescrizione. 
    La predetta sentenza accertava che i predetti agenti, durante una
manifestazione in occasione del  vertice  dei  capi  di  Stato  e  di
Governo, denominato G8, tenutosi a Genova nel  luglio  del  2001,  in
concorso tra loro e con piu' azioni esecutive di un medesimo  disegno
criminoso, in violazione delle norme  disciplinanti  la  facolta'  di
arresto da parte degli ufficiali ed agenti  di  polizia  giudiziaria,
nonche' dei doveri del personale di Polizie, privavano della  liberte
personale i cittadini spagnoli A , S , G ,  e  L  ,  A  ,  L  ,  G  ,
intenzionalmente operando un arresto al di fuori dei  presupposti  di
legge e abusando dei poteri inerenti le  loro  funzioni.  Gli  stessi
agenti, inoltre, incolpavano i  menzionati  Cittadini  spagnoli,  pur
sapendoli innocenti, dei reati di resistenza aggravata e possesso  ed
utilizzo di armi, affermando falsamente  nel  verbale  di  arresto  e
nelle successive relazioni di servizio di avere sorpreso A S G mentre
effettuava all'indirizzo  dei  reparti  schierati  della  Polizia  il
lancio di un ordigno incendiario e L A L G mentre si scagliava contro
le forze di Polizia, armato di  un  tubolare  di  ferro,  effettuando
resistenza per sottrarsi all'arresto. 
    La   sentenza   riteneva   gli   imputati,   odierni   convenuti,
responsabili in modo inequivocabile dei  fatti  delittuosi  posti  in
essere, affermando che «La cristallizzazione degli atti compiuti  dai
pubblici ufficiali negli atti pubblici da loro redatti;  la  conferma
piena degli atti stessi nella relazione di servizio presentata  oltre
sette mesi dopo, la  palmare,  solare,  visiva  falsita'  degli  atti
stessi raffrontata non solo con le dichiarazioni dei testi, ma con  i
filmati, nei quali viene immortalato l'arresto del due spagnoli in un
contesto del tutto diverso da quello esposto dai pubblici  ufficiali,
e soprattutto, per quel che qui interessa, senza che i due si fossero
resi protagonisti degli atti di violenza trasfusi negli atti pubblici
[. . . omissis] getta una  luce  abbagliante  anche  in  ordine  alla
sussistenza dell'elemento psicologico,  non  potendosi  addebitare  a
colpa cio' che costituisce la cosciente volonta' di  "effettuare  del
fermi"  (come  raccomandato  due  volte  dalla  centrale  operative),
motivandoli con condotte  false  ed  integranti  in  pieno  anche  il
delitto di calunnia». 
    A seguito del rigetto, con sentenza n. 1906/2012, del ricorso per
Cassazione proposto dai convenuti, la sentenza passava in giudicato. 
    2. Per gli stessi fatti i convenuti V S , N M , B L e C A  ,  con
atto di  citazione  depositato  in  data  17  luglio  2015,  venivano
chiamati dalla Procura contabile a rispondere del danno  patrimoniale
indiretto  subito  dal   Ministero   della   giustizia,   casualmente
ricollegabile  alla  loro  condotta   illecita.   Il   danno   veniva
quantificato in e 10.584,00 a titolo  di  spese  di  costituzione  in
giudizio della parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato
nei processi di primo e secondo grado relativi ai fatti in questione,
nonche' nell'ulteriore soma di € 10.000,00 quale  danno  patrimoniale
subito dal Ministero dell'interno per avere anticipato agli  imputati
le spese legali,  anticipazione  non  seguita  dalla  restituzione  a
seguito della sentenza di condanna passata in giudicato. 
    Atteso,  inoltre,  il  notevole  clamore  suscitato   dall'intera
vicenda, la cui notizia e' stata ampiamente riportata e diffusa dagli
organi di stampa e dagli altri  mezzi  di  informazione,  la  Procura
contabile chiedeva anche il risarcimento del danno all'immagine della
Polizia di Stato, gravemente lesa dal  comportamento  delittuoso  dei
condannati, quantificato in € 200.000,00. 
    3. Essendo quest'ultima azione di risarcimento preclusa dall'art.
17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78,  convertito
con modificazioni nella  legge  3  agosto  2009  n.  102,  modificato
dall'art. 1 comma 1 lettera c) n. 1 del decreto-legge 3  agosto  2009
n. 103 convertito dalla legge 3 ottobre 2009 n. 141, che per  effetto
del rinvio all'art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97 legittimava  la
proposizione dell'azione risarcitoria per danni dell'ente pubblico da
parte della procura operante presso il giudice cantabile soltanto  se
detto danno era conseguente a un reato ascrivibile alla categoria dei
delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione  di
cui al capo I, titolo II, libro Il del  c.p.,  la  Procura  cantabile
sollevava questione di legittimita'  costituzionale  della  norma  de
qua, per contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione. 
    4. Questa Sezione, con ordinanza n.  12  depositata  in  data  19
aprile 2016, dichiarava rilevante e non manifestamente  infondata  la
questione, per contrasto della norma censurata con gli articoli  3  e
97 Cost. nella parte in cui  escludeva  l'esercizio  dell'azione  del
pubblico  ministero  contabile  per   il   risarcimento   del   danno
all'immagine conseguente a  reati  commessi  da  pubblici  dipendenti
nell'esercizio delle loro  funzioni,  diversi  da  quelli  contro  la
pubblica amministrazione di cui al Capo I  titolo  II  libro  II  del
codice penale, quindi disponendo la sospensione del procedimento e la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    5. La Corte costituzionale, con ordinanza n. 145/2017 in data  24
maggio 2017, sul rilievo che dopo l'ordinanza  di  rimessione  l'art.
17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78  era  stato
modificato dall'allegato 3, art. 4, comma 1, lettera h), del  decreto
legislativo 26 agosto 2016,  n.  174  che  aveva  abrogato  il  primo
periodo della norma censurata; che l'allegato 3,  art.  4,  comma  1,
lettera g),  dello  stesso  decreto  legislativo  n.  174/2016  aveva
abrogato l'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97, norma alla  quale
la disposizione censurata rinviava, allo scopo di limitare i casi nei
quali  poteva  essere  proposta  dal  pubblico  ministero   contabile
l'azione di  risarcimento  per  il  danno  all'immagine;  che  sempre
successivamente all'ordinanza di rimessione, l'art.  37  del  decreto
legislativo 25 maggio 2016, n. 97, aveva modificato l'art. 46,  comma
1, del decreto legislativo  14  marzo  2013,  n.  33  richiamato  dal
rimettente  a  conforto  delle  censure  di  irragionevolezza  e   di
violazione  del  principio  di  uguaglianza;  che   le   sopravvenute
modifiche avevano inciso sul citato art. 17, comma 30-ter, e comunque
avevano determinato una profonda trasformazione del quadro  normativo
di  riferimento,  realizzata  con  modalita'  tali  da  influire  sul
contenuto e sulla prospettazione delle  censure  e  che,  quindi,  ne
rendevano ineludibile il riesame da parte del remittente ai  fini  di
una nuova valutazione in ordine alla rilevanza e alla  non  manifesta
infondatezza della sollevata  questione,  disponeva  la  restituzione
degli atti a questo giudice, per nuovo esame della rilevanza. 
    6. Veniva all'uopo fissata l'odierna udienza di discussione. 
    I convenuti B , C , N e V , si sono costituiti e hanno depositato
memorie.  N  e  V  hanno  eccepito  rispettivamente  la  nullita'   e
l'inesistenza della notifica  dell'originario  atto  di  citazione  e
tutti l'infondatezza della richiesta di risarcimento di  €  10.000,00
quale  somma  anticipata  dall'amministrazione  per  la  difesa   nel
giudizio penale, in quanto  gli  stessi  avrebbero  gia'  iniziato  a
restituire la somma anticipata dal Ministero dell'interno, attraverso
trattenute sulla busta paga a decorrere dal mese di dicembre 2017. 
    Con  riferimento  alla  domanda   di   risarcimento   del   danno
d'immagine, gli stessi convenuti hanno eccepito  in  via  preliminare
l'inammissibilita' e/o l'improcedibilita' della richiesta, in  quanta
esperita sulla  base  di  una  sentenza  di  condanna  per  un  reato
(falsita' ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici)
che non rientra nel novero di quelli individuati al  capo  I,  titolo
II, libro II del codice penale  deducendo  anche  l'inapplicabilita',
ratione temporis, al caso di specie delle  nuove  norme  modificative
della disciplina dell'azione di risarcimento del danno  all'immagine,
introdotte dal codice della giustizia cantabile approvato con decreto
legislativo n. 174/2016, essendo stato l'atto di citazione depositato
in data 17 luglio 2015, anteriore all'entrata in vigore del  predetto
decreto (7 ottobre 2016). 
    In via subordinata e  nell'ipotesi  in  cui  la  nuova  normativa
fosse, invece, ritenuta applicabile al caso de quo e che, per effetto
della abrogazione dell'art.  7  della  legge  n.  97/2001,  ad  opera
dell'art.  4,  comma  1,  lettera  g)  dell'Allegato  3  del  decreto
legislativo  n.  174/2016,  l'azione  di   risarcimento   del   danno
all'immagine non incontrasse  piu'  i  limiti  previsti  della  norma
abrogata,   i   convenuti   sollevano   questione   di   legittimita'
costituzionale della norma di abrogazione, per  violazione  dell'art.
76  della  Cost.  non  sussistendo,  nella  fattispecie,  potere  del
legislatore delegato di modificare la  discipline  sostanziale  della
perseguibilita' del danno dell'immagine, difettando  apposita  delega
in tal senso. 
    In via ulteriormente subordinata, convenuti hanno  contestato  la
quantificazione di detto  danno  da  parte  della  Procura,  ritenuta
«assolutamente  eccessive  e  sfornita  di  prove  adeguate»,   danno
ritenuto,  tra  l'altra,  insussistente,  per  assenza  di  risonanza
mediatica  e  comunque  non  dimostrato   dalla   Procura   cantabile
(eccezione, quest'ultima, del convenuto N ). 
    7. Questa sezione, con sentenza parziale assunta ha  respinto  le
eccezioni di nullita' ed inesistenza  della  notifica  sollevate  dai
convenuti N e V , condannando tutti i convenuti, in solido tra  loro,
al risarcimento del danno di € 10.000,00 a favore del Ministero degli
interni e di € 10.584,00 a favore del Ministero  della  giustizia,  e
riservandosi di provvedere, con separata ordinanza,  con  riferimento
alla domanda di risarcimento del danno all'immagine. 
 
                               Osserva 
 
    8. A scioglimento della riserva, il Collegio  ritiene  di  dovere
nuovamente sollevare innanzi alla Corte costituzionale  questione  di
legittimita' dell'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1°  luglio
2009 n. 78, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2009 n.
102, modificato dall'art. 1 comma 1 lettera c) n. 1 del decreto-legge
3 agosto 2009 n. 103, convertito della legge 3 ottobre 2009  n.  141,
per contrasto con gli articoli 3  e  97  Cost.  nella  parte  in  cui
esclude l'esercizio dell'azione del pubblico ministero contabile  per
il risarcimento del danno all'immagine conseguente a  reati  commessi
da pubblici dipendenti nell'esercizio delle loro funzioni, diversi da
quelli contro la pubblica amministrazione di cui al capo I titolo  II
libro II del codice penale. 
    9. Il teste' indicate  sospetto  di  legittimita'  costituzionale
viene  da  questo  giudice  formulate  dopo  la  reiterazione   della
valutazione della rilevanza della questione, con  specifica  riguardo
all'allegato 3, art. 4,  comma  1,  lettera  g  ed  h),  del  decreto
legislativo 26 agosto 2016, n. 174 che ha abrogate il  prime  periodo
della norma censurata e l'art. 7 della legge 27 marzo  2001,  n.  97,
norma alla quale rinviava  quella  censurata,  nonche'  con  riguardo
all'art. 37 del decreto legislativo 25 maggio  2016,  n.  97  che  ha
modificato l'art. 46, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013,
n.  33,  richiamato  dal  rimettente  a  conforto  delle  censure  di
irragionevole  e  violazione  del  principio  di  uguaglianza,   come
richiesto dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n.  145/2017  di
restituzione degli atti. Ed a tanto si provvede. 
 
                            La rilevanza 
 
    10. Questo giudice ritiene, infatti, che le  modifiche  normative
introdotte art. 4, comma 1, lettera g ed h), del decreto  legislativo
26 agosto 2016, n. 174 che ha abrogato il primo periodo  della  norma
censurata e l'art. 7 della legge 27 marzo 2001,  n.  97,  norma  alla
quale rinviava quella censurata, nonche' le  modifiche  all'art.  46,
comma 1, del decreto  legislativo  14  marzo  2013,  n.  33,  operate
dall'art. 37 del decreto legislativo  25  maggio  2016,  n.  97,  non
abbiano incidenza nel caso di specie e che, pertanto, la norma di cui
all'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio  2009  n.  78,
convertito con modificazioni  nella  legge  3  agosto  2009  n.  102,
modificato dall'art. 1 comma 1 lettera c) n. 1  del  decreto-legge  3
agosto 2009 n. 103, convertito dalla legge 3 ottobre  2009,  n.  141,
debba trovare applicazione ai fini della decisione sulla  domanda  di
risarcimento del danno all'immagine proposta dal  pubblico  ministero
cantabile con l'atto di citazione in premessa, la cui  proponibilita'
e contestata dai convenuti. 
    11. Si  premette  un  breve  excursus  sul  quadro  normativo  di
riferimento,  precedente  e  successivo  al  decreto  legislativo  n.
174/2016: 
        a) L'art. 17 comma 30-ter del decreto-legge n. 78/2009  (c.d.
«Lodo Bernardo), convertito modificazioni in legge n.  102/2009,  nel
testo modificato  dall'art.  1,  lettera  c),  del  decreto-legge  n.
103/2009, convertito in legge  n.  141/2009,  disponeva:  Le  procure
della Corte dei conti possono  iniziare  l'attivita'  istruttoria  ai
fini  dell'esercizio  dell'azione  di  danno  erariale  a  fronte  di
specifica e concreta notizia di danno,  fatte  salve  le  fattispecie
direttamente sanzionate della legge. Comma 1). Le procure della Corte
dei  conti  esercitano  l'azione  per  il  risarcimento   del   danno
all'immagine nei soli casi e nei  modi  previsti  dell'art.  7  della
legge 27 marzo 2001, n. 97 (comma 2). A tale ultimo fine, il  decorso
del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 1 della legge
14 gennaio 1994, n. 20, e sospeso fino alla  conclusione  del  penale
(comma 3)»; 
        b) L'art. 7 legge n. 97/2001,  cui  l'art.  17  comma  30-ter
operava  il  rinvio,  disponeva  che  «La  sentenza  irrevocabile  di
condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati  nell'art.
3 per delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo  I
del titolo II del  libro  II  del  codice  penale  e'  comunicata  al
competente procuratore regionale  della  Corte  del  conti  affinche'
promuova   entro   trenta   giorni   l'eventuale   procedimento    di
responsabilita' per danno  erariale  nel  confronti  del  condannato.
Resta salvo quanto disposto dall'art. 229 delle norme di  attuazione,
di coordinamento  e  transitorie  del  codice  di  procedura  penale,
approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.»; 
        c) L'art. 4, comma 1  del  decreto  legislativo  n.  174/2016
Allegato 3  -  Norme  transitorie  e  abrogazione  -  prevede  che  a
decorrere dalla data di entrata in vigore del codice, sono o  restano
abrogati, in particolare: lettera g) l'art. 7 della  legge  27  marzo
2001, n. 97; lettera h) l'art. 17, comma 30-ter, primo  periodo,  del
decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 3 agosto 2009, n. 102; 
        d) Per espressa previsione stesso art. 4, ultimo  comma,  del
decreto  legislativo  n.  174/2016   Allegato   3   citato,   «Quando
disposizioni vigenti richiamano disposizione abrogate dal  comma  1.,
il riferimento agli istituti previsti da  queste  ultime  si  intende
operato ai corrispondenti istituti disciplinati nel presente codice.» 
        e) L'art. 51 del decreto legislativo n. 174/2016, al comma 7,
dispone che «La sentenza irrevocabile  di  condanna  pronunciata  nel
confronti dei dipendenti amministrazioni di cui all'art. 1, comma  2,
del  decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.  165,  nonche'  degli
organismi e degli enti da esse controllati, per i delitti commessi  a
danno delle stesse, e' comunicata al competente procuratore regionale
della Corte dei conti affinche' promuova l'eventuale procedimento  di
responsabilita' per danno  erariale  nei  confronti  del  condannato.
Resta salvo quanto disposto dall'art. 129 delle norme di  attuazione,
di  coordinamento  e  transitorie  del  codice  di  procura   penale,
approvate  con  decreto  legislativo  28   luglio   1989,   n.   271»
(riproponendo con alcune modifiche il vecchio testo dell'art. 7 della
legge n. 97/2001). 
    12.  Dal  quadro  normativo  teste'  riportato,  si  rileva   che
l'abrogazione del primo  periodo  dell'art.  17,  comma  30-ter,  del
decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 non e' rilevante  ai  fini  della
questione di costituzionalita' sollevata,  sia  perche'  quest'ultima
attiene specificamente al comma 2 dell'art. 17, sia perche' la  norma
abrogata e' stata reintrodotta, tel quel, all'art. 51, comma  1,  del
codice della giustizia contabile (CGC). 
    13) Piu' significativa appare, invece, l'abrogazione, per effetto
dell'art. 4, comma 1, lettera g) del decreto legislativo n.  174/2016
Allegato 3, dell'art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97,  cui  l'art.
17 comma 30-ter rinviava al fine di limitare i casi nei quali  poteva
essere  proposta  dal  pubblico  ministero  contabile   l'azione   di
risarcimento del danno dell'immagine.  La  norma  abrogata  e'  stata
trasfusa, con alcune modifiche, nel testo dell'art. 51 - del  decreto
legislativo n. 174/2016 e, conseguentemente, per effetto del disposto
di cui all'art. 4,  comma  2,  delle  norme  transitorie  abrogazioni
Allegato 3 - il  riferimento  ai  «soli  casi  e  nei  modi  previsti
dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n.  97»  di  cui  all'art.  17
comma 30-ter, per detta parte ancora in vigore, deve ritenersi  fatto
alle disposizioni contenute  nell'art.  51,  comma  7,  del  CGC  che
ripropone, con alcune varianti, la norma abrogata. 
    La prima variante e' il riferimento alla sentenza di condanna nei
confronti  dei  dipendenti  delle  PP.AA.,  ora   esteso   anche   ai
«dipendenti degli organismi e degli enti  da  esse  controllati»;  la
seconda  variante,  molto  piu'  significativa  ai   fini   che   qui
interessano, attiene alle tipologie di reato oggetto  della  sentenza
di condanna da comunicare al procuratore regionale  della  Corte  dei
conti,   ai   fini   dell'eventuale    esercizio    dell'azione    di
responsabilita' per danno erariale, ora non piu' limitate ai «delitti
contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo  II
del libro secondo del codice penale», ma estese a  tutti  «i  delitti
commessi  a  danno  delle  stesse»  (pubbliche   amministrazioni   ed
organismi ed enti controllati). 
    14. L'ampliamento  delle  possibilita'  di  azione  del  pubblico
ministero contabile non appare, pero',  a  giudizio  del  remittente,
rilevante ai fini  della  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata, stante che, qualunque sia l'interpretazione da  dare  alla
locuzione «delitti commessi a danno», cui l'art. 51 comma 7  del  CGC
subordina  la  possibilita'  del  pubblico  ministero  contabile   di
esperire l'azione di risarcimento per danno all'immagine, se cioe' la
relativa domanda possa essere formulata soltanto nel caso di  delitti
in cui la pubblica amministrazione sia essa  stessa  soggetto  offeso
dal reato, o possa essere proposta anche nel caso in cui la  pubblica
amministrazione sia soggetto danneggiato  civilmente  da  un  delitto
commesso dal  pubblico  dipendente  nello  svolgimento  e  con  delle
proprie funzioni, la norma di cui all'art.  51,  del  C.G.C.  non  e'
applicabile alla  fattispecie  in  esame,  nella  quale  il  deposito
dell'atto di citazione, momento nel quale  deve  porsi  la  questione
della proponibilita' dell'azione alla luce  della  normativa  ratione
temporis in vigore per accertarne la legittimita', e' avvenuto  sotto
l'impero dell'art. 17, comma 30-ter, nella  formulazione  antecedente
alla modifica operata  dalle  disposizioni  del  nuovo  Codice  della
giustizia   contabile,   disposizione    della    cui    legittimita'
costituzionale si continua a dubitare. 
    Le stesso C.G.C. all'art. 2 delle Norme transitorie e abrogazioni
- Allegato 3 - in ossequio  al  principio  del  tempus  regit  actum,
stabilisce che «Le disposizioni di cui alla Parte II, Titolo I,  Capo
I (cui appartiene il citato art.  51),  II  e  III  del  codice,  che
disciplinano l'istruttoria del pubblico ministero, si applicano  elle
istruttorie in carso alla data di entrata in vigore  del  codice,  le
nel case di specie l'istruttoria non era  in  quel  momento  piu'  in
corso, essendo stato gia' emesso l'atto di  citazione  in  giudizio),
fatti salvi gli atti gia' compiuti secondo il regime previgente.» 
    Anche a seguito delle norme modificative  del  quadro  normativo,
indicate dalla Corte costituzionale  nell'ordinanza  di  restituzione
degli atti n. 145/2017, continua, pertanto, a sussistere la rilevanza
della  questione  proposta,  nel  caso  concreto,  in  cui  il  danno
all'immagine, ritenuto sussistente, non puo' essere oggetto di azione
di risarcimento, impedita della formulazione della norma censurata, 
 
                   Riproposizione della questione 
 
    15. Vanno, dunque, pienamente confermate, anche alla  luce  dello
ius superveniens segnalato, le considerazioni in termini di rilevanza
e  non  manifesta  infondatezza,  gia'  formulate  nella   precedente
ordinanza di rimessione n. 12 del 2016 di questo Giudice, che vengono
in questa sede integralmente richiamate e riproposte. 
    15.1. La questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  17
comma 10-ter del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78,  convertito  con
modificazioni nella legge 3 agosto 2009 n. 102, modificato  dall'art.
1 comma 1 lettera c), n. 1 del decreto-legge 3  agosto  2009  n.  103
convertito dalla legge 3 ottobre 2009 n. 141, sollevata dalla Procura
contabile appare rilevante e non manifestamente infondata. 
    15.2. La norma censurata dispone che le procure della  Corte  dei
conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno  all'immagine
nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della  legge  27  marzo
2001  n.  97.  Il  predetto  art.  7  stabilisce  che   la   sentenza
irrevocabile di condanna pronunciata  nei  confronti  dei  dipendenti
indicati nell'art. 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione
previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale
e comunicata al compente procuratore regionale della Corte dei  conti
affinche' promuova entro trenta giorni  l'eventuale  procedimento  di
responsabilita' per danno erariale nei confronti del condannato. 
    15.3. Secondo il diritto vivente, ricavabile dall'interpretazione
della normativa in questione ad opera della prevalente giurisprudenza
della Corte di Cassazione (sentenza n. 14605 del 2014) e della  Corte
dei conti (SS.RR. sentenza n. 8/QM del 2015),  nonche'  della  stessa
Corte costituzionale, il riferimento «ai casi  e  ai  modi»  previsti
nell'art.  7  della  citata  legge  n.  97  del  2001,  comporta   la
possibilita'  della  Procura  cantabile  di  esperire   l'azione   di
risarcimento solo nel caso di danno all'immagine conseguente  ad  uno
dei reati di cui al capo I, titolo II, libro II  del  codice  penale,
vale a  dire  nelle  sole  ipotesi  di  delitti  contro  la  pubblica
amministrazione, tra i quali non e' compreso  il  reato  di  falsita'
ideologica per il quale i convenuti sono stati condannati. 
    La stessa Corte costituzionale, nel dichiarare inammissibili  e/o
infondate le questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  17,
comma 30-ter, prospettate  da  varie  sezioni  giurisdizionali  della
Corte dei conti, ha ritenuto (sentenza n. 355 del  2010  e  ordinanze
nn. 219, 220 e 221 del  2011)  che  «Il  legislatore  ha  ammesso  la
proposizione  dell'azione   risarcitoria   per   danni   all'immagine
dell'ente pubblico da parte della procura operante presso il  giudice
contabile soltanto in presenza di un fatto di reato ascrivibile  alla
categoria dei «delitti dei  pubblici  ufficiali  contro  la  pubblica
amministrazione» e che «La norma deve essere unicamente interpretata,
[...] nel senso che al di fuori delle ipotesi tassativamente previste
di responsabilita'  per  danni  all'immagine  dell'ente  pubblico  di
appartenenza,  non  e'  configurabile   siffatto   tipo   di   tutela
risarcitoria.» (sentenza n. 355 del 2010). 
    15.4. Escluse,  pertanto,  interpretazioni  dell'art.  17,  comma
30-ter, che possono far ritenere esperibile  l'azione  della  Procura
contabile anche nei casi di danni  all'immagine  dell'amministrazione
conseguenti a reati diversi da quelli contemplati dalla norma stessa,
la  questione  proposta  e'  da  ritenersi  rilevante  nel   presente
giudizio,  in  quanto  l'applicazione  della  disposizione  censurata
determinerebbe l'improponibilita' della domanda di  risarcimento  del
danno all'immagine, precludendone l'esame. 
 
                     Non manifesta infondatezza 
 
    16. Il remittente  richiede  che  la  questione  sollevata  dalla
Procura attrice, oltre che rilevante, sia  anche  non  manifestamente
infondata. 
    16.1. Il Collegio non ignora che la  Corte  ha  gia'  scrutinato,
sotto alcuni profili la questione di legittimita' relativa alla norma
censurata.  Ritiene,  tuttavia,  che  alla  luce  dei  principi   che
presiedono alla verifica della ragionevolezza  degli  interventi  del
legislatore, elaborati dalla stessa giurisprudenza costituzionale, il
denunciato contrasto della norma censurata con gli articoli  3  e  97
della Cost. non sia  manifestamente  infondato,  con  riferimento  ai
profili di seguito illustrati. 
    16.2. Come e' noto, la giurisprudenza costituzionale  ha  desunto
dall'art. 3 Cost. «un canone di "razionalita'" della legge svincolato
da  una  normativa  di  raffronto,  rintracciato   nell'esigenza   di
conformita' dell'ordinamento a valori di giustizia e di equita' [.  .
.]   ed   a   criteri   di    coerenza    logica,    teleologica    e
storico-cronologica, che costituisce un presidio  contro  l'eventuale
manifesta irrazionalita' o iniquita' delle conseguenze della  stessa»
(sent. N. 87/2012). 
    Alla luce del suddetto canone di razionalita',  utilizzato  dalla
Corte per l'esercizio del  sindacato  di  legittimita',  il  Collegio
remittente ritiene, non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita'  costituzionale   dell'art.   17,   comma   30-ter   del
decreto-legge 1° luglio  2009  n.  78,  (c.d.  «Lodo  Bernardo»,  per
contrasto con l'art. 3 della Costituzione,  sotto  il  profilo  della
«intrinseca   irragionevolezza»    della    disciplina    regolatrice
dell'azione  risarcitoria  per  danno  all'immagine,   ritenuta   non
conforme a valori di giustizia ed equita' ed a  criteri  di  coerenza
logica, nonche' per violazione del principio  di  uguaglianza,  anche
alla luce delle successive disposizioni  introdotte  dal  legislatore
successivamente  alla  norma  censurata,   di   cui   agli   all'art.
55-quinquies, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001  n.  165
(aggiunto dall'art. 69, comma 1, del decreto legislativo  27  ottobre
2009, n. 150), all'art. I, comma 12, della legge 6 novembre 2012,  n.
190 e all'art. 46, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n.
33, successivamente modificato con l'art. 37 del decreto  legislativo
25 maggio 2016 n. 97. 
    Secondo l'art. 17 comma 30-ter,  nel  testo  vigente  al  momento
della proposizione dell'atto di citazione, applicabile  nel  caso  di
specie, verrebbero, infatti,  irragionevolmente  escluse  dall'azione
risarcitoria fattispecie di danno all'immagine conseguente a fatti di
reato altrettanto gravi e anche piu' gravi di  quelli  che  integrano
gli  estremi  dei  reati  contro  la  pubblica   amministrazione   e,
soprattutto, certamente piu' gravi dei fatti  non  costituenti  reato
descritti dalle nuove figure di violazioni  di  doveri  del  pubblico
dipendente, cui si e'  innanzi  fatto  cenno,  creando  sperequazioni
manifestamente irragionevoli  tra  fatti  che  producono  i  medesimi
effetti dannosi e dando luogo a situazioni paradossali. 
    A titolo esemplificativo,  risulta  inspiegabilmente  escluso  il
risarcimento del danno all'immagine  della  pubblica  amministrazione
nelle ipotesi di reati contro l'amministrazione della giustizia,  non
compresi nel capo I titolo II, libro II del codice  penale;  sussiste
danno all'immagine risarcibile per violazione del  segreto  d'ufficio
(326 c.p.) punita con la reclusione da sei mesi a tre  anni,  ma  non
per la piu' grave rivelazione di segreto di Stato (261 c.p.) commessa
da pubblico ufficiale, punita  con  la  reclusione  non  inferiore  a
cinque anni, o per tutti i delitti commessi  dal  pubblico  ufficiale
contro lo Stato che offendono  interesse  alla  sicurezza  nazionale;
sussiste danno all'immagine per l'indebita percezione di erogazioni a
danno dello Stato di cui all'art. 316-ter del codice  penale  ma  non
per  la  truffa  aggravate  per  il  conseguimento   delle   medesime
erogazioni pubbliche di cui all'art.  640-bis  del  codice  penale  e
cioe' per lo stesso fatto di reato commesso con artifici  e  raggiri;
e' ammesso il risarcimento del danno all'immagine nel caso  di  abuso
d'ufficio di cui all'art. 323 codice penale ma non nei  casi  in  cui
detto reato viene assorbito in uno piu' grave  ma  non  compreso  nel
capo I, libro II titolo II del codice penale, nonostante permanga  la
lesione del  bene  protetto  della  norma  incriminatrice  del  reato
assorbito  (il  buon  andamento  della  P.A.);  risponde   di   danno
all'immagine la guardia carceraria che in cambio di  favori  sessuali
dispense  benefici  in  violazione  dei  propri  doveri  a   soggetti
sottoposti a custodia, mentre non ne risponde  se  commette  violenza
sessuale a danno degli stessi soggetti cui poi  dispensa  i  medesimi
benefici per evitare di essere denunciata. 
    Nella fattispecie di cui e' causa, tra l'altro,  l'irrazionalita'
della  disposizione  censurata  e  la  violazione  del  principio  di
uguaglianza traspaiono in tutta evidenza, ove  si  consideri  che  la
norma non consente di esercitare l'azione di risarcimento  del  danno
all'immagine, nonostante  il  danno  derivi  dal  reato  di  falsita'
ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti  pubblici  previsto
dall'art. 479 del c.p., che e' reato  contro  la  P.A.,  sebbene  non
compreso nel capo I del titolo II del libro  II  del  codice  penale,
avendo quale persona offesa la pubblica amministrazione e  come  bene
meritevole di tutela penale l'interesse pubblico alla fedelta'  degli
atti (Cass. SS.UU. n. 46982/2017). 
    16.3. La scelta, operata  dal  legislatore  con  la  disposizione
censurata, di non estendere l'azione risarcitoria  anche  a  condotte
integranti  un  reato  diverso   da   quelli   contro   la   pubblica
amministrazione da cui pur tuttavia consegua una lesione all'immagine
dell'amministrazione, scelta ritenuta legittima dalla  Corte  con  la
sentenza n. 355 del 2010 non e rimasta, tra l'altro, fermi nel tempo,
ma  risulta  superata  dallo  stesso  legislatore  che   in   momenti
successivi all'entrata  in  vigore  dell'art.  17  comma  30-ter,  ha
introdotto    ulteriori    fattispecie    di    danno    all'immagine
dell'amministrazione, come conseguenza  di  reati  non  compresi  tra
quello disciplinati dal capo I titolo II libro II del codice penale e
anche quale esito di fatti non  costituenti  reato,  con  conseguente
irrazionalita' (quantomeno sopravvenuta) della discipline dettata dal
predetto art. 17, comma 30-ter. 
    La prima  nuova  fattispecie  di  danno  all'immagine  successiva
all'entrata  in  vigore  dell'art.  17,  comma  30-ter  e'   prevista
dall'art. 55-quinquies, comma 2, del  decreto  legislativo  30  marzo
2001 n. 165 (aggiunto dall'art. 69, comma 1, del decreto  legislativo
27 ottobre 2009, n. 150), secondo cui risponde di danno  all'immagine
alla pubblica amministrazione il lavoratore  dipendente  che  attesta
falsamente la propria presenza in  servizio,  mediante  l'alterazione
del sistemi di rilevamento  della  presenza  o  con  altre  modalita'
fraudolente, ovvero giustifica l'assenza dal  servizio  mediante  una
certificazione falsa o falsamente attestante uno stato di malattia. 
    Successivamente, con l'art. 1, comma 12, della legge  6  novembre
2012, n.  190  e'  stato  stabilito  che  «In  caso  di  commissione,
all'interno dell'amministrazione, di un reato di corruzione accertato
con sentenza passata in giudicato,  il  responsabile  individuato  ai
sensi del comma 7 del presente articolo risponde ai  sensi  dell'art.
21 del decreto legislativo  30  marzo  2001,  n.  165,  e  successive
modificazioni, nonche' sul piano disciplinare, oltre che per il danno
erariale e all'immagine della  pubblica  amministrazione,  salvo  che
provi tutte le seguenti circostanze: a) di avere  predisposto,  prima
della commissione del fatto, il piano di cui al comma  5  e  di  aver
osservato le prescrizioni di  cui  ai  commi  9  e  10  del  presente
articolo; b) di aver vigilato sul funzionamento e sull'osservanza del
piano.» 
    Infine, con l'art. 46, comma 1, del decreto legislativo 14  marzo
2013, n. 33, modificato  dall'art.  37  del  decreto  legislativo  25
maggio 2016 n. 97 («Responsabilita' derivante dalla violazione  delle
disposizioni in materia di obblighi di  pubblicazione  e  di  accesso
civico»), e' stata introdotta  una  ulteriore  fattispecie  di  danno
all'immagine risarcibile,  prevedendosi  che  «L'inadempimento  dagli
obblighi di pubblicazione  previsti  della  normative  vigente  e  il
rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso civico, al  di
fuori delle ipotesi previste dall'art. 5-bis, costituiscono  elemento
di valutazione della responsabilita' dirigenziale, eventuale cause di
responsabilita' per danno all'immagine  dell'amministrazione  e  sono
comunque valutati al fini della corresponsione della retribuzione  di
risultato e del trattamento  accessorio  collegato  alla  performance
individuale dei responsabili. 
    16.4. La prima delle tre fattispecie evidenziate,  gia'  inserita
nell'ordinamento al tempo  in  cui  la  Corte  costituzionale  si  e'
pronunciata sulla  questione  relativa  all'art.  17,  comma  30-ter,
(sentenza n. 355 del 2010), e' stata ritenuta elemento  insufficiente
ad intaccare  il  criterio  limitativo  del  risarcimento  del  danno
all'immagine ai soli casi dei delitti contro la P.A., attesa  la  sua
«specialita'» e «la ratio che ne ha giustificato  l'introduzione  nel
sistema» (sentenza n. 355 del 2010). 
    La successiva previsione legislativa delle altre due  ipotesi  di
tanno risarcibile, relative a fatti che non costituiscono reato,  non
essendo piu' giustificabile  con  il  criterio  di  specialita',  ha,
pero', incrinato la coerenza interne  della  scelta  del  legislatore
tradotta  nell'art.  17,  comma  30-ter,  rendendo  irragionevole  e,
quindi, costituzionalmente illegittima, per  violazione  dell'art.  3
della Costituzione, sotto il profilo della intrinseca  irrazionalita'
della  disciplina  e  della  disparita  di  trattamento   risultante,
l'esclusione  dell'azione  risarcitoria  nelle   ipotesi   di   danno
all'immagine causato dalla commissione di  reati  diversi  da  quelli
espressamente contemplati dal predetto art. 17, comma 30-ter. 
    L'azione    risarcitoria    per     il     danno     all'immagine
dell'amministrazione risulta, infatti, prevista per fatti dannosi  di
minore gravita', (tenuto conto del  tipo  di  sanzione  prevista  dal
legislatore in caso di violazione) quali  quelli  relativi  alle  due
ultime fattispecie citate, che non costituiscono neppure reato  (art.
1, comma 12, della legge 6 novembre 2012, n. 190 e art. 46, comma  1,
del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33), mentre risulta esclusa
per danni  all'immagine  causati  dai  piu'  gravi  fatti  di  reato,
produttivi della stessa tipologia di danno. 
    17. Il predetto art.  17,  comma  30-ter,  del  decreto-legge  n.
7812009  appare,  inoltre,  contrastante  con  l'art.  3  Cost.   per
violazione dello stesso  canone  della  «intrinseca  ragionevolezza»,
sotto un ulteriore profilo, nonche' con l'art. 97 Cost. 
    17.1. Il Giudice delle leggi,  pur  riconoscendo  l'esistenza  di
diritti  «propri»  degli  enti   pubblici   e   conseguentemente   la
possibilita'  di  forme  peculiari  di  risarcimento  del  danno  non
patrimoniale nel caso in cui i suddetti diritti vengano  violati,  ha
identificato  il  danno   derivante   dalla   lesione   del   diritto
all'immagine della pubblica amministrazione  nel  pregiudizio  recato
alla rappresentazione che essa ha di se  in  conformita'  al  modello
delineate dall'art. 97 Cost., individuando, pertanto, sostanzialmente
in questa norma costituzionale fondamento  della  rilevanza  di  tale
diritto (sentenza n. 355 del 2010). La Corte ha anche  precisato  che
il riconoscimento  dell'esistenza  di  diritti  «propri»  degli  enti
pubblici tra cui il diritto all'immagine «deve necessariamente tenere
conto della peculiarita' del soggetto tutelato  e  della  conseguente
diversita' dell'oggetto di  tutela,  rappresentato  dall'esigenza  di
assicurare il presagio, la credibilita' e il  corretto  funzionamento
degli uffici della pubblica  amministrazione  (sentenza  n.  172  del
2005),  ritenendo   in   questa   prospettiva,   non   manifestamente
irragionevole «ipotizzare differenziazioni di tutele, che si  possono
attuare a livello legislativo, anche  mediante  forme  di  protezione
dell'immagine dell'amministrazione pubblica a fronte di condotte  dei
dipendenti,  specificamente  tipizzate,  meno  pregnanti  rispetto  a
quelle assicurate alla persona fisica.» (sentenza n. 355 del 2010). 
    Anche  in   ambiti   connotati   da   un'ampia   discrezionalita'
legislativa,  lo  scrutinio  di  ragionevolezza  impone   pero'   «di
verificare che il bilanciamento  degli  interessi  costituzionalmente
rilevanti non sia stato realizzato con modalita' tali da  determinare
il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva  e
pertanto incompatibile con il dettato costituzionale.  Tale  giudizio
deve    svolgersi    «attraverso    ponderazioni    relative     alla
proporzionalita'  dei  mezzi  prescelti  dal  legislatore  nella  sua
insindacabile discrezionalita' rispetto alle  esigenze  obiettive  da
soddisfare o alle finalita'  che  intende  perseguire»  (Corte  cost.
sentenza n. 1130 del 1988) ed ha lo scopo di «valutare  se  la  norma
oggetto di scrutinio, con la misura e le  modalita'  di  applicazione
stabilite, sia necessaria e  idonea  al  conseguimento  di  obiettivi
legittimamente perseguiti, in quanto  tra  piu'  misure  appropriate,
prescriva  quella  meno  restrittiva  dei  diritti  a   confronto   e
stabilisca oneri non  sproporzionati  rispetto  al  perseguimento  di
detti obiettivi (sent. n. 1 del 2014). 
    Detto sindacato «di giustizia» o di «intrinseca irragionevolezza»
della legge prescinde, come e noto, dal carattere  ternario  e  dalla
comparazione tra norme, per assumere la  forma  del  controllo  della
adeguatezza della legge rispetto al caso regolato.  Significativa  e,
al  riguardo,  la  sentenza  185   del   2003,   che   ha   giudicato
«irragionevole» la  compressione  di  un  diritto  (si  trattava  del
diritto di  proprieta')  in  nome  di  un  valore  costituzionalmente
tutelato  (la  tutela  dei  beni  culturali),  in  quanto  la  misura
limitativa e stata ritenuta ed  esuberante  rispetto  alla  finalita'
perseguita, che gia' poteva ritenersi soddisfatta da altre previsioni
contenute nell'ordinamento. 
    17.2. Alla luce dei  predetti  canoni  ermeneutici,  il  Collegio
remittente, ritiene, non manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita'  costituzionale   dell'art.   17,   comma   30-ter   del
decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78, per contrasto con l'art. 3  della
Costituzione, sotto il profilo  della  «intrinseca  irragionevolezza»
della norma, e con l'art. 97, sotto il profilo della  violazione  del
diritto all'immagine della pubblica amministrazione che nella  citata
disposizione  trova  ancoraggio  di  rilievo  costituzionale,  per  i
seguenti ulteriori motivi. 
    17.3. La ratio della  disposizione  censurata  individuata  dalla
Corte costituzionale nell'intento di «limitare  ulteriormente  l'area
della   gravita'   della   colpa   del   dipendente    rincorso    in
responsabilita',  proprio  all'evidente  scopo   di   consentire   un
esercizio dell'attivita'  di  amministrazione  della  cosa  pubblica,
oltre che piu' efficace ed efficiente, il piu'  possibile  scevro  da
appesantimenti, ritenuti dal legislatore eccessivamente onerosi,  per
chi e' chiamato, appunto, a porla in essere.» (Corte  cost.  sentenza
n.  355  del  2010).  La  norma,  infatti,   intende   «circoscrivere
oggettivamente i casi in cui e' possibile, sul  piano  sostanziale  e
processuale, chiedere il risarcimento del  danno  in  presenza  della
lesione dell'immagine dell'amministrazione imputabile a un dipendente
di  questa»,   «sulla   base   della   considerazione   secondo   cui
l'ampliamento dei casi di responsabilita' di tali  soggetti,  se  non
ragionevolmente limitata  in  senso  oggettivo,  e'  suscettibile  di
determinare   un   rallentamento   nell'efficacia   e   tempestivita'
dell'azione amministrativa dei pubblici  poteri,  per  effetto  dello
stato diffuso di preoccupazione che potrebbe ingenerare in coloro  ai
quali,  in  definitiva,  e'  demandato   l'esercizio   dell'attivita'
amministrativa.». (Corte cost. sentenza n. 355 del 2010) 
    17.4.   Essendo    questi    indubitabilmente    gli    obiettivi
dell'intervento normativo oggetto della questione di legittimita', il
profilo  di  censura  che  viene  in  rilievo  con  riferimento  alla
«ragionevolezza  intrinseca»   della   disposizione,   attiene   alla
idoneita', alla proporzionalita' ed alla necessita' del mezzo  scelto
per l'attuazione dell'intento legislativo, mezzo  che  al  remittente
appare non solo «sproporzionato ed eccessivo rispetto allo scopo», ma
anche non necessario e  inidoneo  al  conseguimento  degli  obiettivi
legittimamente perseguiti. Se la finalita' perseguita  e'  quella  di
«consentire un esercizio dell'attivita' di amministrazione della cosa
pubblica, oltre che piu' efficace ed efficiente,  il  piu'  possibile
scevro da appesantimenti»  al  fine  di  valutare  la  ragionevolezza
dell'intervento,  non  puo'  non  tenersi  conto  del  fatto  che  il
legislatore, allo scopo di limitare la responsabilita'  dei  pubblici
dipendenti,  e'  gia'  piu'  volte  intervenuto,  con   provvedimenti
normativi riconosciuti legittimi dalla  stessa  Corte  costituzionale
(sentenza n. 371 del 1998; sentenza n. 453 del 1998),  finalizzati  a
restringere la sera di detta responsabilita', (legge 14 gennaio  1994
n.  20;  decreto-legge  23  ottobre  1996  n.  543),   limitando   il
risarcimento alle sole condotte dannose connotate  da  dolo  o  colpa
grave e la trasmissibilita' del debito agli eredi solo  nel  caso  di
illecito arricchimento del dante  cause  e  di  conseguente  illecito
arricchimento degli eredi stessi, prevedendo l'insindacabilita' delle
scelte  discrezionali  e  l'obbligo  di  tenere  conto  dei  vantaggi
comunque   conseguiti   dall'amministrazione   o   dalla    comunita'
amministrata,  fissando  la  regola   generale   della   parziarieta'
dell'obbligazione  di  risarcimento,  limitando  al  quinquennio   il
termine prescrizionale (art. 1 commi 1 - 4  della  legge  14  gennaio
1994 n. 20) e sancendo  l'obbligo  di  rimborsare  in  ogni  caso  al
dipendente prosciolto nel processo per danno erariale le spese legali
sostenute (art. 3, comma 2-bis del decreto-legge  n.  543/1996,  art.
18, comma 1 del decreto-legge n. 67/1997 e art. 10-bis, comma 10  del
decreto-legge n. 203/2005). Risultando la  finalita'  perseguita  dal
legislatore  gia'  abbondantemente  soddisfatta  da  strumenti   piu'
consoni e sicuramente piu' efficaci, quali quelli appena indicati, la
scelta di restringere ulteriormente i confini responsabilita'  per  i
danni causati alla pubblica amministrazione limitando il risarcimento
dei danni all'immagine solo nelle ipotesi in  cui  gli  stessi  siano
conseguenti ad uno dei reati contro la P.A., e restringendo,  quindi,
di converso, i confini della tutela del diritto  dell'amministrazione
all'onore e alla reputazione, appare misura eccessiva  ed  esuberante
rispetto allo scopo e, pertanto, secondo il parametro  costituzionale
dell'art. 3, intrinsecamente irrazionale. 
    17.5. La misura  non  appare,  tra  l'altro,  neppure  idonea  al
raggiungimento degli obiettivi che il  legislatore  si  proponeva  di
raggiungere con la disciplina in esame. Pur tenendo conto  che  nella
materia  de  qua   il   legislatore   dispone   di   un   ambito   di
discrezionalita' abbastanza ampio e', infatti, pur sempre  necessario
che i mezzi scelti per il raggiungimento dei fini proposti abbiano  i
requisiti della razionalita' e della idoneita' allo scopo,  requisiti
parimenti oggetto di sindacato da parte del Giudice delle leggi. 
    Eliminare l'obbligo del pubblico dipendente di risarcire il danno
all'immagine dell'amministrazione causato, come nel caso  di  specie,
da agenti appartenenti alla Polizia di Stato condannati con  sentenza
passata in giudicato per avere, nell'esercizio delle loro funzioni di
ordine  pubblico,  arrestato  illegalmente   persone   che   sapevano
innocenti, accusandoli falsamente in atti ufficiali  da  loro  stessi
redatti della commissione di gravi delitti, non sembra misura  idonea
ad agevolare il  raggiungimento  dell'obiettivo  del  buon  andamento
dell'amministrazione  o  strumento   in   qualche   modo   funzionale
all'attuazione  dei  principi  di  legalita',  di  imparzialita',  di
economicita' e di trasparenza che costituiscono il  modello  fondante
dell'azione amministrativa previsto dall'all. 97 Cost. 
    Appare,  anzi,  ragionevole  ritenere  che  l'obiettivo  di   una
amministrazione   efficiente   ed   imparziale    avrebbe    maggiori
probabilita' di essere  raggiunto  ampliando,  a  scopo  quanto  meno
dissuasivo,   e   non   certamente   restringendo,   la   sfera    di
responsabilita' del pubblico dipendente che approfitta delle funzioni
svolte per delinquere (e, in tal senso, del resto, sembra muoversi lo
stesso  legislatore,  come  si  evince   dalle   scelte   successive,
all'emanazione della norma censurata,  ampliative  delle  ipotesi  di
danno all'immagine della P.A, con approdo ultimo nell'art. 51 comma 7
del C.G.C. che  legittima  l'azione  di  risarcimento  per  qualunque
delitto commesso a danno dell'amministrazione). 
    Ne consegue  che  l'eccessivo  e  sproporzionato  sacrificio  del
diritto all'onore ed alla reputazione della pubblica  amministrazione
imposto  dalla  disposizione  normativa   censurata,   non   trovando
giustificazione nella necessita'  di  un  bilanciamento  al  fine  di
tutelare   un   altro   diritto   costituzionalmente    protetto    e
potenzialmente con esso confliggente, solleva nel remittente dubbi di
conformita' alla Carta costituzionale. 
    Non e', pertanto, manifestamente infondato il dubbio  che  l'art.
17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78,  convertito
con modificazioni nella legge 3 agosto  2009  n.  102,  e  successive
modifiche nella parte in cui prevede il trattamento differenziato dei
danni all'immagine derivanti da reati diversi  da  quelli  contro  la
pubblica amministrazione sia in contrasto con gli  articoli  3  e  97
della  Costituzione,  per  «intrinseca  irragionevolezza»  sotto  gli
anzidetti profili. 
    18.  Se  a  quanto  esposto  si  aggiungono  le   disparita'   di
trattamento,  ingiustificate  sul  piano  giuridico,  che  la   norma
censurata determina, in premessa indicate a  titolo  esemplificativo,
non  puo'  non  dubitarsi  della  legittimita'  costituzionale  della
disposizione censurata, per violazione del principio  di  uguaglianza
sancito dall'art. 3  Cost.  che  impone  parita'  di  trattamento  di
situazioni analoghe e per violazione  del  canone  di  ragionevolezza
intrinseca, desunto  dallo  stesso  art.  3,  che  esige  conformita'
dell'ordinamento a valori di giustizia  e  di  equita'  dallo  stesso
tutelati  ed  a   criteri   di   coerenza   logica,   teleologica   e
storico-cronologica, e che costituisce un presidia contra l'eventuale
manifesta irrazionalita' o iniquita' delle  conseguenze  della  norma
(sentenze n. 46 del 1993 e n. 81 del  1992),  principio  che  risulta
violato   nel   momento    in    cui    la    tutela    dell'immagine
dell'amministrazione non viene accordata o  negata  a  seconda  della
sussistenza a meno del danno di che trattasi, ma sulla base del fatto
generatore dello stesso, la cui individuazione, peraltro, non  appare
governata  da  criteri  di  logica  e   razionalita',   ma   affidata
all'arbitrium merum del legislatore. 
    19. Per le ragioni che precedono, in  applicazione  dell'art.  23
della legge costituzionale n. 87/1953, riservata ogni altra decisione
sui merito all'esito del giudizio innanzi alla Corte  costituzionale,
la Sezione  ritiene  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma  30-ter,
del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni
nella legge 3 agosto 2009, n. 102, con riferimento agli articoli 3  e
97 Cost. e dispone rimessione degli atti  alla  Corte  costituzionale
per la relativa decisione.